Si è svolta lo scorso 8 maggio, presso la Cittadella della Regione Calabria, la premiazione del Concorso Nazionale e Regionale Eplibriamoci. L’evento, nato in seno all’Ente Pro Loco Italiane e collegato alla Giornata Mondiale del Libro e del diritto d’autore, che ricorre ogni 23 aprile, è giunto alla sua seconda edizione. Il concorso, destinato agli alunni delle classi terze della scuola secondaria di primo grado, ha l’obiettivo di avvicinare i giovani alla cultura, promuovendo la lettura e la scrittura. Attualissima e carica di significato la traccia su cui i ragazzi sono stati chiamati a riflettere: “Le urla che arrivano dal mare: come integrare culture diverse?”. Le tematiche dell’integrazione di culture differenti e dell’accoglienza sono state accolte con serietà e molta sensibilità dalle varie istituzioni scolastiche e dagli allievi. Sono stati ben 543 gli elaborati esaminati a livello nazionale e 110 quelli pervenuti dalle scuole della regione Calabria. La nostra terra risulta vincitrice assoluta in quanto il primo premio, a livello nazionale, è stato conseguito da Giovanna Maria Tancredi dell’I C Rende Centro (CS). Validissimi anche i testi premiati a livello regionale, che di seguito pubblichiamo (buona lettura).
(Elaborato svolto da GIOVANNI MONTORO dell'I.C. San Fili)
21 Febbraio 2023, Izmir, Turchia
Caro diario, Sono super emozionato: domani finalmente partirò per l’Italia con la mia sorellina Leila. Precisamente non sappiamo in quale posto dell’Italia arriveremo, ma sappiamo solo che sarà un luogo migliore per il nostro futuro. I nostri genitori hanno speso tutti i loro risparmi per permetterci di partire e spero ne valga la pena! Purtroppo, nel mio paese, a causa dei bombardamenti e soprattutto del terremoto di qualche mese fa, moltissime case e altre strutture sono crollate. Tra queste anche la nostra casa. Sì, sono molto emozionato ma non nego di avere un brutto presentimento; forse sarà soltanto il pensiero di lasciare la mia famiglia o la paura di non sentirmi adeguato in un altro posto che non sia casa mia. Ma adesso devo lasciare tutti questi brutti pensieri alle spalle e soprattutto devo riposare per il Grande Giorno.
28 Febbraio 2023, Cutro, Italia:
Caro diario, Sono passati solo due giorni dal mio sbarco in Italia e, purtroppo, non è andata come speravo. La sera del nostro sbarco è accaduto l’inaspettato: erano le 4 di mattina del 26 febbraio quando il nostro barcone si è scontrato con uno scoglio ed ha cominciato ad imbarcare acqua Subito mi sono buttato in mare per cercare di raggiungere la riva con la convinzione che mia sorella stesse nuotando dietro di me. Quando ho raggiunto la riva, ho urlato a lungo il suo nome ma mi sono accorto che lei non c’era…c’era solo un buio pesto squarciato da urla disperate. Credo di aver perso i sensi, ricordo di aver visto tanti volti sconosciuti davanti a me ed ho intuito subito che erano soccorritori. Non capivo la loro lingua, ma capivo i loro sguardi, carichi di apprensione e di disperazione. Sono stato soccorso, accudito e confortato. Non c’era bisogno di parole, il linguaggio della solidarietà va oltre la condivisione di una lingua. Quando sono arrivati dei miei connazionali, ormai residenti in Italia da tempo, ho chiesto notizie di mia sorella. Ne ho dato una descrizione dettagliata, non è stato difficile identificarla…ma era troppo tardi. Ho sentito in me un vuoto immenso, come se un pezzo della mia anima si fosse staccato e fosse morto insieme a mia sorella. Sono riuscito ad arrivare a destinazione ma pagando un prezzo troppo alto. Sono, inoltre, uno dei pochi superstiti, poiché insieme a mia sorella hanno perso la vita altri bambini e altre persone che come me sono partiti pieni di speranze i, ma i loro sogni si sono infranti in quel mare agitato, che ha spezzato le loro vite. Ora, caro diario, devo lasciarti poiché è molto tardi; domani i volontari porteranno me ed altri superstiti in un “Centro di Accoglienza”.
1 Marzo 2023, Cutro, Italia:
Caro diario, insiemead altri compagni di viaggio, sono stato portato nel Centro di Accoglienza di Isola di Capo Rizzuto. Devo rimanere qui in attesa di essere identificato e ottenere il “permesso di soggiorno”. Grazie ad esso sono sicuro di poter continuare la mia vita in condizioni migliori, ma purtroppo senza mia sorella. Ho sentito i miei genitori ma non ho avuto il coraggio di dire loro tutta la verità. Sto vivendo giornate molto tristi, ho il mio dolore ed assisto impotente a quello degli altri. La gente del posto fa di tutto per consolarci, piange con noi, prega con noi. In fondo, l’integrazione è proprio questo: parlare la lingua dell’amore, fatta di accettazione dell’altro, di condivisione dei fardelli. Non avevo mai ben capito il significato del termine empatia; ora so esattamente che è l’empatia che ci permette di identificarci nelle condizioni degli altri per poter sopportare insieme il peso del dolore o condividere la leggerezza della gioia. Non so dove mi porteranno, in quale regione dell’Italia vivrò, sicuramente non dimenticherò questa spiaggia di Cutro, questa gente a cui non è importato chi fossimo, da dove arrivassimo. Importava solo che siamo loro fratelli, fuggiti ognuno da una tragica esistenza e, purtroppo, vittime di un destino crudele.
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA I° CLASSIFICATO. Per l’originalità dell’elaborato, che ripercorre la strage di Cutro attraverso tre brevi, pregnanti pagine di diario, in cui l’autore interpreta, con forte partecipazione emotiva, i desideri e le angosce di un giovane naufrago turco. Il racconto è condotto con sensibile intimità, quasi a voler ricordare che dietro i numeri e le statistiche palpitano singole vite, storie individuali, sogni irripetibili, ma non per questo rinuncia alla dimensione collettiva, soprattutto quando ricorda la grande empatia del popolo calabrese e sottolinea, in modo semplice e disarmante, che accoglienza è “parlare la lingua dell’amore, fatta di accettazione dell’altro, di condivisione dei fardelli”. La Commissione giudicatrice assegna il primo premio del concorso “Eplibriamoci 2023 – regione Calabria” a Giovanni Montoro, classe III A, Istituto Comprensivo “San Fili” (CS).
(Elaborato svolto da ROSSELLA VARONE dell'I.C. Vallelonga - plesso Pizzoni)
L’Italia è, oggi, un Paese a forte tasso di immigrazione. La legge che, per prima, cerca di regolamentare questi enormi flussi migratori che arrivano nel nostro Paese è la “legge Martelli” (39/1990) che detta le norme dei diritti e dei doveri degli stranieri già residenti. Nel decennio successivo, il forte aumento degli immigrati in Italia è stato affrontato con la legge 40/1988, detta “legge Turco-Napolitano”.
Questa legge, oltre a regolamentare i permessi di soggiorno, promette politiche di integrazione e di tutela degli immigrati, favorendo il ricongiungimento con le proprie famiglie e prevedendo – tra l’altro – l’assistenza sanitaria e l’istruzione obbligatoria per tutti. Il decreto, dunque, sostiene da una parte l’universalità dei diritti e dall’altra riconosce la diversità della cultura di appartenenza come un valore. La successiva “legge Bossi-Fini” e, da ultimo, il decreto legislativo 113/2018 hanno reso più restrittive le norme sull’immigrazione. Ma quali sono le sfide culturali che l’arrivo degli stranieri in Italia pone? Come favorire la loro integrazione nel tessuto sociale del nostro Paese? È difficile rispondere a questi quesiti anche perché l’integrazione è un processo esteso nel tempo, complesso e multidimensionale che deve presupporre uno scambio reciproco di esperienze umane.
Integrare vuol dire avviare un dialogo interculturale dal quale deve emergere una prospettiva più ampia e matura in cui l’immigrato diventa una parte vitale e funzionale che arricchisce l’insieme. Per far integrare al meglio gli immigrati e per farli vivere in un clima pacifico e costruttivo c’è bisogno di rispetto. I migranti di oggi, infatti, chiedono rispetto per la loro cultura perché loro voglio integrarsi e dialogare, ma non assimilarsi. E un dialogo interculturale è possibile laddove è presente uno Stato democratico, laico e imparziale, cioè uno Stato che non deve favorire o discriminare una certa comunità e una certa cultura. Cominciare a dialogare significa anche stabilire dei criteri rigorosi e trasparenti per indicare a tutti coloro che desiderano integrarsi con la cultura del Paese di arrivo, quali aspetti della loro cultura possono essere considerati tollerabili, rispettabili o addirittura condivisibili. Il problema più grande si presenta quando una cultura presenta degli elementi che non sono tollerabili perché mettono a rischio i diritti dell’uomo che sono fondamentali.
Naturalmente c’è tanto lavoro da fare, ma non provarci nemmeno significa dare per scontato che nessuna cultura è modificabile, pensiero – questo – che può essere estremamente pericoloso dato che presuppone una chiusura culturale e sociale preoccupante. L’intellettuale israeliano Amos Oz, riprendendo - in un saggio intitolato Contro il fanatismo – il poeta inglese John Donne, afferma che nessun uomo è un’isola, ma deve diventare penisola; e come la penisola rimane attaccata da un lato alla terraferma e per lunghi tratti è esposta al mare o all’oceano, allo stesso modo l’uomo deve rimanere attaccato alle proprie radici, alla propria cultura e alla propria tradizione, allo stesso modo deve aprirsi all’altro, deve essere travolto dalle onde generate da nuove culture, da nuove tradizioni, da nuove radici. Mi pare che questa metafora possa rendere al meglio l’atteggiamento che può portare all’integrazione di tutte le culture in qualsiasi parte della Terra.
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA II^ CLASSIFICATA. In sede di valutazione, la Commissione, all’unanimità, esprime la propria approvazione per l‘elaborato della giovanissima autrice, per come ella sia riuscita a ben conciliare la parte normativa, relativa al fenomeno migratorio, con il coinvolgimento emotivo dettato da uno spiccato senso di UMANITÀ. Infatti, prima, ha, in modo consapevole, elencato le varie norme che regolano i flussi migratori, e, poi, ha affrontato, il tema dell’integrazione dei migranti, richiamando, innanzitutto, il principio del RISPETTO per quella che è la loro cultura. Con ciò l’autrice ha sottolineato l’importanza per i migranti di preservare la loro identità, sia pure assimilandosi alle popolazioni ospitanti, così da non perdere la memoria del mondo in cui hanno vissuto prima di affrontare il viaggio verso l‘ignoto. Ed è così che, in modo efficace, la giovanissima autrice è passata da un’analisi tecnica ad un’analisi umana del fenomeno, ricordando l’importanza delle radici, che ha richiamato a tutti noi, membri della commissione esaminatrice, le semplici, ma pregnanti parole, della “santa”, la suora pluricentenaria del film premio Oscar 2014 "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino quando dice «Io mangio solo radici perché le radici sono importanti». Attraverso il riferimento al saggio di Amos Oz l’autrice, altresì, è riuscita anche ad andare al di là di questa riflessione evidenziando la necessità, per il migrante, di fondere le sue radici, con le nuove, create, queste ultime, abbracciando le culture dei popoli ospitanti. È emersa, dunque, da queste profonde riflessioni, concepite da una mente giovane e priva di esperienze, la grande UMANITÀ evidenziata inizialmente, che dà una lezione di vita a noi adulti, soprattutto a quelli che hanno un ruolo nell’affrontare il fenomeno della migrazione, dai quali tale fenomeno viene visto solo e sempre come un problema e mai come una opportunità. Ciò ci fa ben sperare sui giovani che non sono sciatti, cinici, disinformati e lontani dalle vicende che coinvolgono il mondo, ma si rivelano desiderosi di contribuire ad arginare la deriva di sentimenti che, invece, sta coinvolgendo i potenti della terra: tutto ciò potrà produrre i suoi risultati, se solo noi adulti sappiamo offrire gli stimoli giusti. La Commissione giudicatrice assegna il secondo premio del concorso “Eplibriamoci 2023 – regione Calabria” a ROSSELLA VARONE dell'I.C. Vallelonga - plesso Pizzoni.
(Elaborato svolto da VIOLA BONASSO dell'I.C. Fratelli Bandiera di San Giovanni in Fiore)
Esattamente un mese e un giorno fa stavo correndo per le strade malandate di un paesino in Africa. Il vento mi sfiorava il viso, il buio faceva concentrare i miei occhi per vederci qualcosa, il gelo mi entrava nelle vene, scorrendo per tutto il corpo, facendomi venire spasmi che facevano contorcere la schiena. Nonostante tutto continuavo a correre, spinto da una forza che mai avevo sentito nel mio corpo. Tutto questo per raggiungere quello spiraglio di libertà che si faceva vedere in due ragazzi che conobbi ad un bar, mentre parlavo con il barista del non volermi arruolare. Quei due mi avevano proposto di partire per arrivare in Italia, così da scampare l’arruolamento.
Il viaggio era composto da dodici ore di viaggio su un camion, con molte altre persone, circa cento se non di più, e circa quattro o cinque giorni su una barca che poi avrebbe portato direttamente in Italia. Senza pensarci troppo, accettai, anche se la somma di denaro era alta e si doveva fare tutto a nero, ma la speranza di una nuova vita era troppa. Dissi il tutto solo a mia madre, perché mio padre da soldato non avrebbe accettato la cosa, mi avrebbe portato immediatamente alle porte dell’esercito. Mia madre mi aiutò con i soldi e, arrivato il giorno, anzi la notte della partenza, diedi i soldi per farmi salire sul camion. Non avevo ripensamenti.
Salivano molte persone, come mi avevano precedentemente avvisato, donne, bambini, ragazzi della mia età e signori anziani, anche se pochi. Io fui uno dei primi a salire su questo furgone, ero molto comodo fino a che dovemmo stringerci come sardine. Fortuna o sfortuna volle che mi si avvicinasse un ragazzo, eravamo molto simili fisicamente, e iniziai a parlarci, sul mezzo eravamo quasi gli unici a parlare, gli altri sembravano molto tristi, ma non ci pensai più di tanto.
Le dodici ore passarono, tra il dormire e lo scherzare, finalmente scendemmo dal camion dondolante e con la testa dolente ci dirigemmo verso il porto. Ormai era mattina ed era passato un mese e un giorno da quando avevo fatto accordi con i due del bar, e stavo salendo sulla barca che mi avrebbe portato nel paese della letteratura e della pizza! La barca era grande, o piccola, dipende dai punti di vista, ed entravamo tutti quanti. In cielo c’erano molti nuvoloni e il tempo non prometteva bene. Vidi un bambino tremare, la madre non c’era o così sembrava, e volendo fare una buona azione, gli diedi il mio giubbino, dandogli qualche pacca sulla spalla per consolarlo.
lo vidi stampare un sorriso stanco, probabilmente per non aver dormito quella notte, così spuntò un sorriso anche sul mio volto e mi girai per fissare il mare muoversi per colpa del vento che si era alzato, facendomi venire i brividi sulla pelle. Mi sentii toccare, mi voltai di scatto dando per sbaglio una gomitata al mio amico di viaggio, che esclamò con un piccolo “ahia”. Gli chiesi scusa, non mi ero accorto che ormai eravamo in procinto di partire, così iniziammo a parlare, e andammo a prendere un panino, io non tolsi il prosciutto, mentre lui si, a differenza sua non ero molto credente, e in quel momento la fame passò al primo posto e mangiai anche quello del mio amico. Tre giorni passarono velocemente, e molto tranquilli, anche se faceva molto freddo. L’ultima notte fece più freddo del solito e iniziò pure a piovere, ma non mi sconcertai a quella vista, mancava veramente poco all’arrivo.
Passata mezz’ora la pioggia si fece più fitta e le onde sempre più grandi, schizzandomi il volto con piccole goccioline salate. Il vento non migliorò la situazione e la barca iniziò a dondolare troppo. Iniziai a preoccuparmi, il mio amico cercò di tranquillizzarmi, e per poco riuscì nel suo intento, fino a quando non vidi un'onda travolgere l’intera barca. Iniziai ad andare in panico e mi strinsi al mio amico e lui con me, e vedemmo i piloti della barca scendere su un gommone motorizzato.
In quel momento realizzai. Ci stavano lasciando giocare a scacchi con la morte!
In quel momento odiai tutta l’umanità, sentii i miei occhi bruciare e la testa dolere, non ce la facevo più, nel momento in cui dovevo farmi forza per sopravvivere ero la persona più debole al mondo, mi sentivo abbandonato e arrabbiato con me stesso per essere scappato, magari nel mio paese sarei morto con onore.
Inutile dire che la barca affondò e io con lei.
La mattina mi svegliai con tre persone che mi guardavano. Non capii, ma mi ci volle qualche minuto per svegliarmi completamente e chiedere mugugnando dove mi trovassi. Le tre persone mi guardarono stanche, ma con un sorriso in faccia, dicendomi che mi trovavo in Italia, non capii molto quello che mi dissero, un po' perché mi ero appena svegliato, un po’ perché parlavano in inglese, mentre tra di loro parlavano credo in italiano.
Dopo qualche ora, mi sentii meglio, e chiesi dove fosse il mio amico e loro risposero con un'aria triste che se non lo vedevo in quella stanza o non era stato trovato, o lo potevo trovare nella stanza dei caduti, in quella stanza si potevano contare circa 60 bare, qualcuna aperta e qualcuna vuota. Riconobbi subito il volto del mio amico. Mi sentii in colpa per non aver fatto nulla, ma questa è la vita, e se sono qui oggi è, non per ammonirvi, ma per fare in modo che la mia testimonianza possa scuotere le coscienze di tutti.
MOTIVAZIONE MENZIONE D’ONORE. Per la notevole capacità immedesimativa che ha consentito di raccontare con dovizia di particolari, matura lucidità e pathos il dolore e le speranze di chi lascia ogni cosa per il sogno di una vita migliore, ritrovandosi, come scrive l’autrice, “a giocare a scacchi con la morte”. Il testo, condotto dal punto di vista di un giovane africano alla ricerca della libertà, scuote la coscienza del lettore che, quasi trasportato sulla barca con il protagonista, si ritrova a condividerne le emozioni. La Commissione giudicatrice conferisce una menzione d’onore all’elaborato prodotto da Viola Bonasso, allieva della classe 3^ C dell’Istituto comprensivo “Fratelli Bandiera” di San Giovanni in Fiore (CS).